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Come salvare il pianeta con il biodiesel!? martedì 2 ottobre 2007

Posted by josephsantor in ambiente, Articolo.
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L’EFFETTO SERRA E IL RISCALDAMENTO GLOBALE

L’effetto serra è il risultato della presenza attorno ad un pianeta di un’atmosfera che assorbe parte dei raggi infrarossi emessi dal suolo riscaldato dalla radiazione ricevuta da una stella.

In tale situazione, una parte della radiazione emessa dal suolo viene assorbita dall’atmosfera e riemessa in tutte le direzioni, quindi in parte anche verso il suolo. Ciò comporta che l’equilibrio radiattivo del pianeta si fissi ad una temperatura maggiore di quella che si stabilirebbe in assenza dell’atmosfera.L’effetto serra permette alla Terra di avere una temperatura media superiore al punto di congelamento dell’acqua, quindi consente la vita come noi la conosciamo.

Nel sistema solare, oltre che sulla Terra, il fenomeno è stato osservato su Marte, Venere e Titano.

Le sostanze che determinano l’effetto serra sul nostro pianeta, chiamati gas serra, sono principalmente vapore acqueo l’anidride carbonica (C02), i clorofluorocarburi (CFC), il metano (CH4), l’ossido di azoto (N20), l’ozono troposferico (03).

Contrariamente a come generalmente si pensa l’effetto serra è un fenomeno naturale nel quale l’uomo è subentrato portando uno squilibrio.

Riscaldamento globale

L’attività umana ha intensificato l’effetto serra con l’utilizzo di combustibili fossili. Anche prodotti di sintesi, quali i clorofluorocarburi, contribuiscono all’intensificazione dell’effetto serra, ed anche per questo motivo sono stati messi al bando.Gran parte della responsabilità per il progressivo riscaldamento del nostro pianeta va addebitata al modello energetico dominante: l’80% delle emissioni di anidride carbonica, il principale “gas serra”, proviene dalla combustione del carbone, del petrolio e del metano, dunque dall’attività delle centrali termoelettriche, dai fumi delle industrie, dagli scarichi delle automobili. Ma sotto accusa ci sono anche i fertilizzanti azotati usati in agricoltura, che oltre ad alimentare il fenomeno dell’eutrofizzazione che sta uccidendo decine di

laghi e mari, tra cui l’Adriatico, sono anche responsabili di buona parte delle emissioni di ossido di azoto.

Infine altri due “imputati” di primo piano sono i clorofluorocarburi responsabili della distruzione della fascia di ozono, la cui produzione per fortuna è in rapida diminuzione, e la deforestazione, che nelle foreste tropicali.Quanto alla parte di ‘colpa” delle varie aree geo-politiche del mondo, il dato che salta subito agli occhi e che

oltre la metà delle emissioni di anidride carbonica e degli altri “gas serra” viene dai Paesi industrializzati come gli Stati Uniti, Unione europea, Canada, Giappone, Australia, dove vive appena un quinto della popolazione

mondiale.

Protocollo di Kyoto

Il Protocollo di Kyoto è un trattato internazionale in materia ambientalistica riguardante il riscaldamento globale sottoscritto nella città giapponese di Kyoto l’11 dicembre 1997 da più di 160 paesi.

Termini e condizioni

Il trattato prevede l’obbligo in capo ai paesi industrializzati di operare una riduzione delle emissioni di elementi inquinanti (biossido di carbonio ed altri cinque gas serra, ovvero metano, ossido di azoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi ed esafluoruro di zolfo) in una misura non inferiore al 5,2% rispetto alle emissioni registrate nel 1990 — considerato come anno base — nel periodo 20082012.

Premesso che l’atmosfera terrestre contiene 3 milioni di megatonnellate (Mt) di CO2, il protocollo prevede che i Paesi industrializzati riducano del 5% le proprie emissioni di questo gas. Il mondo immette 6.000 Mt di CO2, di cui 3.000 dai paesi industrializzati e 3.000 da quelli in via di sviluppo; per cui, con il protocolle di Kyoto dovrebbe immetterne 5.850 anziché 6.000, su un totale di 3 milioni. Dato l’elevatissimo costo della riduzione, è facile capire perché il protocollo non abbia raggiunto numerose adesioni.

ITALIA

L’Italia, che si è impegnata a ridurre del 6,5% entro il 2010 rispetto al ’90 le emissioni di CO2, finora ha fatto

assai poco per centrare l’obiettivo, tanto che oggi le nostre emissioni sono addirittura cresciute di oltre il 7%. Un ritardo, oltretutto, doppiamente autolesionista, perché quasi tutte le misure utili ad abbattere le emissioni di CO2 servirebbero anche a combattere l’inquinamento atmosferico e a ridurre la dipendenza energetica del nostro Paese dalpetrolio.

Gli effetti del riscaldamento globale

I modelli climatici elaborati dall’IPCC indicano un potenziale aumento della temperatura, durante questo secolo, compreso tra 1,4 e 5,8 °C.

Tra i possibili effetti di tali mutamenti climatici si stima vi possa essere un aumento del livello del mare in alcune aree del pianeta, in particolare in quelle con minori tassi di evaporazione, ciò a causa dell’espansione termica e dello scioglimento dei ghiacci continentali oltre che dei ghiacciai montani. Il riscaldamento provocherebbe il parziale scioglimento dei ghiacci e un’espansione termica degli oceani, con un innalzamento prevedibile del livello dei mari di 15- 95 centimetr i. Regioni come la Florida, la Louisiana, la zona costiera giapponese o il Delta del Po, Paesi come il Bangladesh o l’Egitto, arcipelaghi come le Isole Marshall, città come Atene, Boston, Tokyo, Nuova Delhi, Amsterdam, Londra, Leningrado, Venezia o Trieste potrebbero venire parzialmente sommerse. Complessivamente, recenti osservazioni satellitari hanno rilevato che il bilancio complessivo delle superfici ghiacciate sulla Terra è negativo per una percentuale compresa tra l’1 e il 1,5% per decennio evidenziando come il fenomeno del riscaldamento globale sia effettivamente in corso ed in costante aumento.

L’aumento della temperatura porterebbe inoltre ad una maggior evaporazione dei mari liberando in atmosfera ulteriori quantità di vapore acqueo (che come detto è il principale gas serra) accrescendo ulteriormente la temperatura globale ed aumentando quantità e violenza delle piogge (tropicalizzazione del clima). A queste si aggiungeranno periodi di siccità, che già in questi anni si sono estesi dalle latitudini equatoriali a molte regioni temperate in Europa e negli Stati Uniti, si moltiplicherebbero, e vaste aree intensamente coltivate che oggi forniscono grano e cibo a tutto il mondo, come le grandi pianure nordamericane ma anche in parte la Pianura Padana, potrebbero diventare zone aride non adatte all’agricoltura.

A proposito della tropicalizzazione del clima un Gruppo intergovernativo di esperti sull’evoluzione del clima (Giec-Ipcc), istituito dall’Onu, condotto da circa 2.500 scienziati di 130 nazioni in sei anni ha riportato che, senza un intervento davvero efficace sui gas serra, la temperatura della superficie terrestre crescerà di oltre 6 gradi nei prossimi cento anni. Il surriscaldamento causerà un aumento dei fenomeni catastrofici, soprattutto nei Paesi del Terzo mondo: cicloni e precipitazioni di intensità record, inondazioni, siccità, erosione delle coste. Che a loro volta determineranno rischi di carestia, siccità e il rafforzamento di malattie tropicali oggi sotto controllo, che produrranno ondate migratorie verso i Paesi più sviluppati.
Tali cambiamenti senza dubbio porteranno a significative modificazioni degli habitat naturali andando ad incidere profondamente anche sugli equilibri socio-economici del pianeta. Risulta comunque tuttora molto difficile prevedere come realmente influirà sul sistema pianeta l’attuale riscaldamento globale, in quanto si tratterebbe di un evento senza nessun precedente in epoca storica. Inoltre il clima globale è certamente un sistema non lineare multifattoriale per cui la climatologia può stabilire delle tendenze ma non eventi di dettaglio. Alcuni scenari oggi proposti ritengono che la diminuzione della salinità dell’oceano Atlantico dovuta allo scioglimento dei ghiacci potrebbe causare il blocco della Corrente del Golfo, con conseguente raffreddamento del continente europeo ed inizio (in quest’area) di una nuova Era Glaciale.

Un altro scenario prevedibile potrebbe essere la diffusione di malattie tropicali. Secondo alcune stime, per esempio, se non verrà fermato l’effetto serra la parte della superficie terrestre a rischio malaria passerà dal 45% al 60%.

Va considerato inoltre che l’aumento della temperatura potrebbe comportare l’estinzione di migliaia di specie animali e vegetali, non più in grado di sopravvivere nelle mutate condizioni climatiche. Lo scioglimento dei ghiacci potrebbe compromettere irrimediabilmente interi ecosistemi.

Tra le specie più a rischio orsi polari e pinguini, salmoni e trichechi, foche e tigri, e poi ambienti già oggi fortemente minacciati come le barriere coralline. Infine, si assisterebbe alla crescente tropicalizzazione di mari “temperati”come il Mediterraneo, dove la fauna e la flora autoctone verrebbero progressivamente soppiantate da specie provenienti dai mari del sud.

I BIOCARBURANTI

Intendiamoci ciò che veramente non inquina è solo l’idrogeno, mentre il resto come il metano il biodiesel o il bioetanolo inquinano sì, ma di meno rispetto ai combustibili fossili. Per adesso ci occuperemo del biodiesel e del perché inquina di meno, poi successivamente in un altro momento parleremo degli altri biocarburanti. Successivamente sempre in un’ altro momento cercheremo di capire perché i biocarburanti sono in questo momento anche una scelta politica alternativa e non-violenta.

IL BIODIESEL:

La sintesi chimica

Chimicamente il biodiesel è un carburante composto da una miscela di esteri alchilici di acidi grassi a lunga catena. Un processo di transesterificazione dei lipidi viene usato per convertire l’olio base nell’estere desiderato e per rimuovere gli acidi grassi liberi. Dopo questo procedimento, contrariamente al semplice olio vegetale, il biodiesel possiede proprietà di combustione simili al diesel ricavato dal petrolio e può sostituirlo nella maggior parte dei suoi impieghi.

Il processo produttivo più diffuso impiega metanolo per produrre esteri metilici, tuttavia anche l’etanolo può essere usato, ottenendo così un biodiesel composto da esteri etilici. Come sottoprodotto del processo di transesterificazione, si ottiene il glicerolo.

Qui di sotto è riportata la reazione di trans-esterificazione di un grasso con il metanolo



R è una catena lineare generalmente lunga da 16 a 22 atomi di carbonio la cui esatta struttura dipende dalla specie vegetale o animale. Il primo prodotto indicato è il glicerolo, il secondo è il generico estere metilico che costituisce il biodiesel.

IMPATTO AMBIENTALE

Dal punto di vista ambientale, il biodiesel presenta alcune differenze rispetto al gasolio:

1) riduce le emissioni nette di ossido di carbonio (CO) del 50% circa e di anidride carbonica del 78,45%; qualcuno afferma anche che non contribuisce all’« effetto serra» poiché restituisce all’aria solo la quantità di anidride carbonica utilizzata da colza, soia e girasole durante la loro crescita, quindi il carbonio delle sue emissioni è quello che era già presente nell’atmosfera e che la pianta ha fissato durante la sua crescita e non, come nel caso del gasolio, carbonio che era rimasto intrappolato in tempi remoti nella crosta terrestre.

2) il biodiesel praticamente non contiene idrocarburi aromatici; le emissioni di idrocarburi aromatici polinucleati (benzopireni) sono ridotti fino ad un massimo del 71%.

3) non ha emissioni di diossido di zolfo (SO2), dato che non contiene zolfo.

4) riduce l’emissione di polveri sottili fino ad un massimo del 65%.

5) produce più emissioni di ossidi di azoto (NOx) del gasolio; inconveniente che può essere contenuto riprogettando i motori diesel e dotando gli scarichi di appositi catalizzatori.

6) è rinnovabile, in quanto ottenuto dalla coltivazione di piante oleaginose di ampia diffusione;
7) è biodegradabile, cioè se disperso si dissolve nell’arco di pochi giorni, mentre gli scarti dei consueti carburanti permangono molto a lungo;
8) garantisce un rendimento energetico pari a quello dei carburanti e dei combustibili minerali ed un’ottima affidabilità nelle prestazioni dei veicoli e degli impianti di riscaldamento.

9) Può essere anche ottenuto da olii vegetali usati, il cui recupero è stato disciplinato dal DLgs 5 febbraio 1997, n° 22.
Questo consente di sottrarre definitivamente gli olii vegetali usati dal circuito dell’alimentazione zootecnica o da utilizzi ancora più pericolosi per la salute umana

10) La sua produzione è del tutto ecologica, poiché non presuppone la generazione di residui, o scarti di lavorazione.

11) La reazione di transesterificazione prevede la generazione di glicerina quale “sottoprodotto” nobile dall’elevato valore aggiunto, della quale sono noti oltre 800 diversi utilizzi.

In confronto con il gasolio, il Biodiesel determina numerosi effetti positivi per l’ambiente:

• riduce le emissioni di monossido di carbonio (- 35%) e di idrocarburi incombusti (- 20%) emessi nell’atmosfera;
• non contenendo zolfo, il Biodiesel non produce una sostanza altamente inquinante come il biossido di zolfo e consente maggiore efficienza alle marmitte catalitiche;
• diminuisce, rispetto al gasolio, la fumosità dei gas di scarico emessi dai motori diesel e dagli impianti di riscaldamento (- 70%);

• non contiene sostanze pericolosissime per la salute quali gli idrocarburi aromatici (benzene, toluene ed omologhi) o policiclici aromatici;
• giova al motore grazie ad un superiore potere detergente che previene le incrostazioni;
• non presenta pericoli, come l’autocombustione, durante la fase di trasporto e di stoccaggio;

Un studio di Sheehan

In uno dei più completi studi sulle fonti energetiche, realizzato da Sheehan e colleghi (1998) sono confermati altri aspetti vantaggiosi nella valutazione del Biodiesel come valida fonte di energia rinnovabile:
• Il bilancio energetico nel life- cicle è di soli 0.31 unità di energia fossile per produrre 1 unità di Biodiesel.

• Le emissioni di particolato risultano essere complessivamente il 32% in meno di quelle del gasolio (il particolato sotto ai 10 µm -altamente nocivo- inferiore del 68%)
• Gli ossidi di zolfo SOx non superano mai l’8% rispetto al gasolio.
• La quasi totale assenza di zolfo e le sue proprietà chimico- fisiche suggeriscono l’impiego del Biodiesel come additivo al gasolio fino a specifiche ULS (Ultra Low Sulfur).

Riportiamo una tabella per sintetizzare quanto detto

Tabella prodotta da http://www.progettomeg.it su fonti: Estereco; Comitato Termotecnico Italiano (CTI); Università del Missouri; Università di Müfir (D).*Il particolato prodotto da biodiesel è risultato essere meno mutageno, e quindi cancerogeno, di quello del diesel di origine fossile – ** Gli aldeidi si abbassano a percentuali simili a quelle del gasolio con l’adozione di riscaldatori che fluidificando l’olio ne consentono una combustione migliore.

CO2: il quantitativo di CO2 è considerato nulla seconda la teoria che la combustione nel motore è controbilanciata da quella che la pianta fissa durante la sua crescita avendo un bilancio finale praticamente pari a zero NON contribuendo quindi all’effetto serra.



Qui di sotto riportiamo il costo in termini energetici per la produzione di biodiesel e diesel, risulta evidentemente più vantaggioso il biodiesel.

Biodiesel Diesel
Produzione semi, fertilizzanti e pesticidi Estrazione petrolio
Produzione piante oleaginise
Trasporto Trasporto
Estrazione dell’olio Operazioni di raffineria
Transeserificazione in biodiesel e
Distribuzione
Distribuzione

Approssimativamente è possibile stabilire che l’estrazione/ coltivazione dell’olio di semi richiede circa il 41% dell’energia dell’intero processo, la raffinazione ne richiede il 23% mentre la transesterificazione ne richiede il 5% ed il restante 31% rappresenta il contenuto energetico del metanolo.

Il bilancio energetico per la produzione di Biodiesel è riportato nella tabella seguente basandosi sul confronto di 26 studi disponibili in letteratura ( Sharmer Sharmer & & Gosse Gosse , 1996).

Bilancio energetico del Biodiesel[GJ/ ha]

Energia per produrlo 26- 35
Energia ricavata dal Biodiesel 42- 50
Energia ricavata dai sottoprodotti 31- 37

Le variabilità dei valori dipende dalla raffinatezza del processo produttivo adottato.
Trattandosi di una fonte energetica rinnovabile il bilancio risulta essere sempre più che positivo.
Importantissimo inoltre il contributo ai fini energetici dei “sottoprodotti” che già da soli renderebbero il processo vantaggioso.
Nel caso di impiego di olii usati, i vantaggi sono ulteriormente amplificati.

UNA PROPOSTA CONCRETA

Per poter far diventare il biodiesel una possibilità concreta bisognerebbe percorrere due strade, una veramente titanica e l’altra meno, ma comunque praticabile se si è in tanti.

La prima consisterebbe nella produzione di biodiesel attraverso il processo della transesterificazione con i rudimentali utensili da cucina, cioè pentole, un fornelletto, un frullatore……su come produrre il biodiesel in questo modo ci sono dei siti che lo descrivono. Questo procedimento oltre ad essere dispendioso, perché bisogna dedicare molto tempo e attenzione, potrebbe essere pericolo soprattutto per l’utilizzo della soda caustica.

Un’altra strada da percorrere potrebbe essere quella dell’acquisto di un transesterificatore. Questo macchinario mescolerebbe attraverso un procedimento, l’alcol metilico e l’olio con l’introduzione di un catalizzatore, producendo il biodiesel al ritmo di 50 litri l’ora.

Ha un piccolo inconveniente, costa circa 12.000 euro. Non è particolarmente ingombrante, anche se può consumare in un’ora 6Kw (6000 watt), quindi andrebbe adattato un impianto elettrico domestico.

Potrebbe essere una risposta concreta se si mettono insieme una decina di persone ad acquistare il macchinario. Calcolando tra consumo di energia elettrica e acquisto di olii e l’alcol metilico, il costo di produzione dovrebbe aggirarsi intorno all’1,048 al litro rispetto al diesel c’è un risparmio.

C’è qualche inconveniente nel motore a diesel se fa particolarmente freddo; il biodiesel andrebbe miscelato in una quantità del 30 % con il diesel.

Se qualcuno fosse interessato al pezzo può visitare il sito della s.r.l. che la produce.

www.mailca.com, i quali vendono anche l’alcol metilico e suggeriscono dove acquistare gli oli (anche usati) e la soda caustica.

Chi scrive non è riuscito ad acquistarlo perché non ha i soldi, ma se ci fossero delle adesione forse sarebbe possibile metterlo in uso.

Inoltre vorrei far notare che ad Ostuni ho visto un distributore di biodiesel non ancora in funzione, ma a breve avrebbe iniziato ad erogare il biocarburante. Il distributore era della “Menga Petroli”, una impresa privata. Il fatto che l’abbia visto in Puglia mi fa pensare che questa regione ha una distesa infinita di alberi di olive e quindi olio da usare per il biodiesel. Quindi una risorsa su cui fare leva.

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